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la storia di emanuela
| Esperienze e racconti


Schio, 28 novembre 2021 

Sono Emanuela Pozzan, ho 46 anni e abito in provincia di Vicenza. Sono ammalata di distrofia dei cingoli LGMD2C.

I primi sintomi della malattia sono comparsi intorno ai sei anni, quando ho iniziato a camminare sulle punte dei piedi. Dopo varie visite, un neurologo di Vicenza mi ha sottoposta a elettromiografia e al controllo dei valori ck del sangue. In seguito, a Padova, ho iniziato il mio vero percorso clinico. Nel 1982 sono stata sottoposta a biopsia muscolare e nel 1986 all’allungamento dei tendini di Achille per prolungare la deambulazione. Sono giunta a una diagnosi precisa solo nel 1995, all’età di vent’anni grazie allo studio del dna. La malattia si è manifestata lentamente indebolendomi anno dopo anno. All’inizio avevo difficoltà nel salire le scale, ad alzarmi da terra e dalla sedia, poi sono giunte le difficoltà a sollevare le braccia. A causa dei problemi di deambulazione cadevo spesso con conseguenze importanti e questo mi ha fatto optare a quattordici anni, per la carrozzina prima manuale per i lunghi spostamenti e poi elettrica. Con il tempo ho camminato sempre meno, fino a smettere completamente a ventisei anni.
Nei primi anni sono stata trattata con cortisone e mi è stato fatto qualche ciclo di fisioterapia. Dopo la diagnosi, mi sono sottoposta regolarmente a visite pneumologiche e cardiologiche. Da luglio 2006, dall’età di trentun anni, sono ventilata meccanicamente. Dal punto di vista cardiologico sono trattata con betabloccanti per contrastare le extrasistoli cardiache.
Per quanto riguarda l’aspetto fisioterapico, non sono seguita dalla mia Asl dall’infanzia, in quanto le risposte che si ottengono in caso di malattie croniche come la distrofia, si basano su cicli annuali pari a dieci sedute continuative. Siccome non si possono avere miglioramenti significativi, le risorse vengono dirottate verso altre problematiche, soprattutto a causa della carenza di personale e di fondi. La prevenzione rispetto ai peggioramenti sembra non essere considerata, tanto quanto il livello della qualità di vita. Qualche anno fa sono andata in piscina privatamente e ne ho tratto molto beneficio, anche se l’iter è stato fisicamente impegnativo (temperature/vestizione/spostamenti).
Dal punto di vista sociale ho avuto una vita abbastanza normale: ho frequentato le scuole fino alla maturità e ho avuto amici che mi hanno permesso di vivere esperienze come la maggior parte dei miei coetanei. Frequentare le scuole non è stato facile dal punto di vista logistico, nel 1989 l’edificio presentava scale e se all’inizio venivo portata al piano dai bidelli, verso la fine degli studi, il comune dopo grandi battaglie aveva dotato la scuola di un montascale.
In seguito al diploma, mi sono rivolta al servizio Sil della mia Asl. Il Sil al tempo era il servizio di integrazione lavorativa che si occupava di segnalare e seguire i casi di inserimento obbligatorio delle categorie protette. Al momento della mia iscrizione, un’azienda della zona stava cercando una persona da inserire nel proprio organico a causa degli obblighi di legge. La coincidenza ha fatto sì che nel giro di poco tempo, io abbia incontrato i vertici aziendali facendo il colloquio conoscitivo. Ai tempi, si doveva fare un tirocinio obbligatorio minimo di sei mesi, in cui sia io che la ditta potevamo recedere. Dovevo svolgere mansioni consone al mio stato fisico gratuitamente, ricevendo un rimborso spese di 200.000 lire mensili per le spese di trasporto.  
Ho iniziato il mio percorso nell’aprile 1995, ho fatto questa prova e lentamente mi sono inserita nel team di lavoro. Le mansioni a cui sono stata destinata erano semplici e alienanti. Nell’ottobre dello stesso anno sono stata assunta regolarmente con contratto part-time per sei ore lavorative giornaliere, per cinque giorni alla settimana. Nel momento in cui sono stata assunta è iniziata la mia vera esperienza professionale. In primis ho affiancato il magazzino aziendale con il carico – scarico dei materiali a terminale, poi sono passata alla contabilità, essendo diplomata come analista contabile. L’azienda negli anni si è trasferita in un fabbricato più grande ed è stata acquisita da una holding svizzera e ho avuto modo di aumentare le mie competenze fiscali in ambito internazionale rapportandomi con il management estero. Durante il percorso ho appoggiato inoltre vari uffici: produzione, commerciale e amministrativo.
La ditta si è sempre occupata dei miei problemi agevolando i miei spostamenti senza la presenza di barriere architettoniche, optando per edifici privi di barriere in caso di impegni al di fuori del mio ufficio, vedi: cene, corsi di aggiornamento, riunioni. Con il personale ho sempre avuto buoni rapporti, in questa sede si sono create amicizie che ancora oggi sussistono e che mi hanno tenuto attiva e inserita nella società. Il rapporto di lavoro si è concluso dopo quindici anni di servizio per cause indipendenti dal mio stato di salute. L’esperienza mi ha consentito di rendermi finanziariamente autonoma, responsabilizzandomi sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista umano. Non mi sono mai sentita discriminata e la mia situazione fisica è sempre passata in secondo piano rispetto al mio ruolo.
A livello associativo, la Uildm locale mi vede impegnata come socia attiva, partecipo alle varie attività che vengono organizzate, mi occupo del sito internet e della pagina facebook e da qualche anno sto facendo cicli di fisioterapia domiciliare organizzati dall’associazione stessa. Sempre a livello associativo partecipo a riunioni della Fish provinciale e regionale e sono il riferimento per la provincia di Vicenza, per il Gfb Odv, l’associazione specifica per le sarcoglicanopatie.
Da novembre 2021, sono stata nominata coordinatrice della nuova “Consulta per le malattie neuromuscolari del Veneto” un organismo libero, indipendente, apartitico, apolitico che raggruppa 15 associazioni del territorio che si occupano di malattie neuromuscolari o di malattie analoghe dal punto di vista assistenziale, identificando criticità comuni e lavorando sinergicamente ad azioni condivise. L’obiettivo è di contribuire al miglioramento della qualità di vita delle persone affette da patologie neuromuscolari e delle loro famiglie.
Dal punto di vista strettamente personale, ho vissuto in famiglia fino a giugno 2014 quando ho optato per la vita indipendente. Spinta da varie motivazioni, mi sono rivolta al mio comune di residenza e agli assistenti sociali per chiedere un’indicazione su come portare avanti il mio progetto. All’inizio mi sono state fatte tante promesse, ma alla luce dei fatti ho perso solo sei mesi, sognando e vedendo le mie speranze frantumarsi. Nella ricerca di una possibile soluzione alternativa sono stata sola fino a dicembre 2013, quando un privato mi ha aiutata a cercare un appartamento da prendere in affitto che facesse al caso mio. A febbraio, dopo estenuanti ricerche, ho trovato la soluzione che faceva per me: un appartamento al piano terra, in un condominio a pochi chilometri da dove abitavo. Dopo varie trattative e autorizzazioni ho apportato modifiche architettoniche al bagno e ho installato meccanismi domotici, ho arredato tutto secondo le mie esigenze, ho rinnovato il mio parco ausili e ho assunto assistenti. Tutto mi è stato permesso solo tramite l’utilizzo dei miei risparmi di lavoro, i costi sono stati importanti, mensilmente non sono mai riuscita ad andare in pari tra entrate e spese, ma conto di poter andare avanti al massimo possibile. La mia vita è cambiata, sicuramente ho scoperto di essere una persona caparbia e motivata, anche se non è stato facile, in quanto ci sono molti rischi in scelte di tal portata e talvolta si rischia di fare errori di valutazione che si pagano a caro prezzo. Il contributo per la vita indipendente è stato determinante per darmi un po’ di serenità.
Consiglio a tutti di provare la mia esperienza, anche se non la ritengo facile, soprattutto in mancanza di aiuto materiale e morale.
A distanza di anni, la soddisfazione del percorso fatto è ampia, anche se le problematiche sono state numerose e continuano ad esserlo, le stesse vanno sempre affrontate facendo un passo per volta, magari sbagliando, ma vivendo l’esistenza in prima persona e non subendo i danni e i preconcetti di chi vede la persona con disabilità solamente come un peso.
Nel 2019 mi sono candidata al consiglio comunale della mia città per una lista che non è risultata vincente, ma è stata una buona esperienza, in cui ho offerto la mia disponibilità per il bene comune.
Nel 2020 ho realizzato il sogno di pubblicare un romanzo ambientato nel mio territorio, a cui sono molto legata.
La recente pandemia ha imposto a tutti seri cambiamenti di vita, di sicuro è cambiato tutto nel tempo in termini di fiducia e rapporti interpersonali. L’uso delle tecnologie è stato vitale durante questo periodo per alimentare i contatti sociali.
Infine, auspico un interesse maggiore del pubblico nella gestione di percorsi come il mio.
La vita è una sola, non ci è dato di averne un’altra, quindi cerchiamo di viverla al massimo delle nostre potenzialità, non facendoci vincere da ostacoli solo apparentemente insormontabili.
 
Emanuela Pozzan